domenica 27 gennaio 2008

la casa nel kansas

credo che per dorothy debba essere stato difficile tornare alla casa nel kansas.

insomma, dopo essere stata ad oz, dico.

certamente la casa nel kansas è un bel posto, sicuro, confortevole, pieno di belle cose, bei momenti e bei ricordi.

e lo capisco che dorothy ad un certo punto sia voluta tornare.

arrivare in oz è un po' un trauma, insomma, tutto ciò che eri prima non c'è più, ed il mondo diventa in techincolor. è un bel cambiamento, e com'è logico può scioccare. ma poi piano piano si trova la propria dimensione, si conoscono amici e si sconfiggono nemici, e si cammina fiduciosi lungo il sentiero, superando gli ostacoli.

insomma, si raggiunge una ragione per essere lì - e ci si rende conto che oz, così colorato, è bello.

ma ad un certo punto si fa l'ora di tornare a casa, si desidera tornare a casa. lo credo bene, troppi cambiamenti per chi ha sempre vissuto in bianco e nero nel kansas. ciò che bisognava fare ad oz è stato fatto, ed è ora di dire addio al leone senza coraggio, all'uomo di latta senza cuore, e a quello di paglia senza cervello, ma loro non hanno più bisogno di lei, ed è giusto andare.

ed è forte il desiderio di tornare nel kansas, perché è vero che non c'è posto più bello della propria casa, però chi è stato ad oz non lo dimentica, e per quanto possa amare la casa nel kansas, sentirà sempre il bisogno di partire, almeno un po'. fosse anche solo per provare di nuovo quel sentimento di nostalgia, che fa sentire voglia di tornare.

sabato 12 gennaio 2008

haven't you ever ridden on that streetcar?

il tram in questione è quello che si chiama desiderio, ovviamente.

ed è quello che porta blanche laddove non avrebbe mai voluto essere, e laddove perderà completamente se stessa, fino ad impazzire per colpa di stanley.


si dice che marlon brando odiasse stanley, e come biasimarlo, del resto? un uomo rozzo, rude, primitivo, arrogante, violento e prepotente. non c’è assolutamente nulla di buono in lui, quale donna lo vorrebbe mai?

eppure gli ha regalato un’umanità magnifica. sconsolato, perso, bagnato fino al midollo, implorare perché la donna che ama torni da lui. la donna di cui, comunque sia, non sa fare a meno. ed ecco che il bruto si trasforma in indifeso, e davvero, non so quale donna non abbia voluto essere stella, non abbia desiderato correre tra le sue braccia e perdonarlo.

haven’t you ever ridden on that streetcar? – questa è la domanda che rivolge stella a blanche, che l’accusa di pensare al “brutale desiderio”, che l’accusa di rimanere con un uomo come suo marito per nulla più che una pulsione sessuale. e sì, in un certo senso è anche questo il tram da cui il titolo. è stanley, per stella – è la vita da cui vorrebbe fuggire, per blanche.

ma è comunque stanley a dominare la vita di entrambe le donne, persino offuscando il vero dramma, che è quello di blanche, che oltre al danno ha subito anche la beffa di essere sopraffatta persino in intensità.

si dice che tennessee williams abbia scritto questa pièce teatrale intorno a blanche, si dice che egli fosse in qualche modo blanche, che ci fossero forti riferimenti autobiografici nella figura di questa donna sopraffatta dai sogni, e un po’ alla deriva a causa di essi.


si dice che lo stesso tennessee williams sia stato sopraffatto da stanley, una creazione che non ha saputo contenere, si dice che anche lui ne sia stato conquistato e si sia arreso, nella vana speranza che prima o poi, al di fuori delle scene di broadway, blanche avrebbe potuto ottenere la luce che meritava, senza che stanley la offuscasse.


ed è ironico che la sua luce sia stata offuscata, lei che amava tanto l’oscurità, perché le permetteva di nascondersi.


blanche, che esce da una nuvola di fumo; blanche, fragile e sognatrice, che vive in un mondo tutto suo, per cercare di fuggire da quello reale, che parla di poesia e di fascino; blanche, che gioca con gonne voluminose, stole di pelliccia, perle e diademi come una bambina che è riuscita ad aprire l’armadio della mamma.

forse è proprio nella luce offuscata dalla forte personalità di stanley che però riesce a trovare la sua dimensione, che riesce a commuovere ed anche a far immedesimare lo spettatore in lei. perché alla fine questo è blanche, quello che ognuno di noi vorrebbe essere, ma che la vita offusca con prepotenza e brutalità.

e c’è una frase di blanche che mi ha particolarmente colpita, deliberate cruelty is unforgivable, and the one thing of which i have never ever been guilty of. la scelta di essere crudeli è imperdonabile, e di questo no, lei non ne era colpevole, ma vittima se mai, lei che chiedeva solo di essere amata.

venerdì 11 gennaio 2008

boh, sarà quello di lolita...

volevo raccontarvi questa scenetta.

domenica pomeriggio, roma, un autobus della linea 71 che si ferma davanti al palazzo delle esposizioni.

sale una tipa dall'aspetto molto aRternativo, appena uscita dalla mostra su kubrick, i numerosi depliant che aveva nella bustina di plastica trasparente con bottiglia d'acqua ferrarelle d'ordinanza ne erano la prova.

parla al telefono con il [presumo] moroso.

non è mia abitudine ascoltare le conversazioni altrui, ma era lì, e l'autobus affollato anche, mi ci cade l'orecchia, no?

"sì, kubrick, il regista [...] sì, quello che ha fatto anche arancia meccanica [...] quali altri film? ne ha fatti tanti [...] sì lolita [...] eh poi non mi ricordo, ne ha fatti tanti..."

tipo, ero piegata in due dal ridere.

mercoledì 2 gennaio 2008

l'amore ai tempi del colera

non l'ho trovato brutto questo film, l'ho trovato quasi ridicolo, nonostante ami javier bardem e nonostante anche benjamin bratt sia piuttosto piacevole.

e pensare che il libro è il mio libro preferito - forse sarà per quello, perché sorella ed amica, che il libro non l'hanno letto, hanno apprezzato molto il film.

ma a me è sembrato senza senso: parti intere di storia decurtate senza un minimo di senso logico, e dubito fortemente che senza aver letto il libro si possa capire il perché di determinati fatti, visto che nel film avvengono così, per grazia divina.

giovanna mezzogiorno in una delle sue peggiori interpretazioni: deve sembrare una sedicenne, ed ha più rughe lei dell'attore che interpreta suo padre. è la prova vivente che il mestiere del doppiatore è di gran lunga più difficile di quello dell'attore. ed ora capisco come mai sembra che in italia abbiamo solo attori scadenti, mentre tra gli ammerigani (e non solo) sono una minoranza le capre: i nostri doppiatori hanno imparato a fare miracoli.

e a proposito di doppiaggio. mi sembra piuttosto scadente. tolta la voce di roberto pedicini - che io non tollero perché mi da fastidio alle orecchie, ma non si può definire un doppiatore scadente, nonostante tutto - ci sono interi dialoghi di sottofondo insensatamente in spagnolo. voglio dire, vuoi caratterizzare? bene, ma con criterio. dal momento che si suppone che a cartagena TUTTI parlino spagnolo, perché mai le voci di sottofondo dovrebbero essere in una lingua diversa da quella utilizzata per i dialoghi principali?

senza contare che il povero florentino sembra un'idiota totale, senza contare che del caribe colorato di marquez non se ne vede neanche l'ombra e senza contare la lentezza di alcune scene - pesantemente in contrasto con la corsa contro il tempo - e i tagli barbari - che fa il regista per riuscire a far stare tutta la storia in due ore.

e potrei anche continuare, ma mi sono scocciata anche di parlarne male, per quanto sono rimasta delusa. solo javier bardem è meraviglioso, ma poco può il suo talento costretto in un film scialbo.

se non avete letto il libro potete anche andare a vederlo, ripeto: mia sorella e la mia amica ne sono rimaste entusiaste.

ma se ne avete voglia, leggete il libro, che è senz'altro meglio.